Gestione delle riunioni

Un approccio vincente alle routine organizzative: vademecum contro la “riunionite”

Il problema della “riunionite” aziendale non è nuovo: troppe riunioni, troppo lunghe, con troppe persone coinvolte. E con la pandemia è addirittura peggiorato. Come uscirne? Ne parliamo con l’esperto in formazione manageriale Lorenzo Cavalieri.

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Lorenzo Cavalieri
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In un articolo del 2017 per il Sole 24 Ore, lei denunciava il fenomeno della “riunionite” in azienda: troppe riunioni, troppo lunghe, con troppe persone coinvolte. A distanza di quattro anni, è cambiato qualcosa? 

Lorenzo Cavalieri: Basandomi sulle testimonianze dei clienti, la mia sensazione è che con l’affermarsi quasi forzoso del lavoro da remoto e delle in videoconferenza il fenomeno della “riunionite” sia peggiorato: in definitiva i manager si sono dovuti riadattare, ma si sono rivelate con ancor più chiarezza le vecchie criticità – mai risolte - legate all’organizzazione delle riunioni.

Ad esempio, la cattiva abitudine di invitare nei meeting persone non direttamente coinvolte nei processi si è addirittura estesa. I sistemi di videoconferenza abbassano il costo sostenuto per convocare una riunione, per invitare una persona in più, per far affacciare in call l’ennesimo collega. Ma in questo modo si guadagna in inclusione perdendo in efficienza. Coinvolgere persone in più implica rallentamenti, perdite di tempo e costi di gestione del partecipante: per partecipare a un incontro, quella persona sarà sottratta ad altre attività. L’impatto di questa dispersione sulle routine organizzative è ovviamente negativo.

Nel mondo aziendale questo aspetto è molto sentito: le riunioni sono troppe, nel corso del meeting i manager chiacchierano senza un focus e senza un chiaro ordine del giorno, che stabilisca argomenti e tempo da dedicare a quegli argomenti. Va da sé che se nella giornata del manager sono previste riunioni inutili o non efficienti, quel tempo sarà sottratto ad altre attività importanti. La valutazione dei costi di opportunità e di efficienza sono un aspetto centrale per mettere uno stop alla “riunionite”: 

 

La riunione è come una barca che viaggia. Se siamo in tanti andiamo più piano, rischiamo di imbarcare acqua, perdiamo equilibrio, e a volte perdiamo anche la rotta.

Lorenzo Cavalieri
Esperto in formazione manageriale


Ricorrendo a generici sistemi di videoconferenza, senza l’ausilio di software dedicati alla gestione dei meeting, il costo percepito si abbassa, eppure la riunionite prosegue: anche se da remoto le riunioni durano un po’meno, perché sono ridotti gli aspetti informali e contestuali dello stare in presenza, aumenta il numero dei meeting a cui si è invitati. Spesso le interazioni sono gestite in modo “casuale”, e in mancanza di un processo disciplinato le componenti dell’ordine e dell’efficienza sfumano.

Concludendo: le riunioni in videoconferenza rendono ancora più necessario di prima un diverso approccio alla leadership e un conduttore che incarni la razionalità dei processi e i valori perseguiti. Primo fra tutti il rispetto del tempo delle persone. La digitalizzazione del lavoro e l’evoluzione delle routine organizzative impone una maturazione su questo piano. È un tema cruciale, che affronto anche nel mio libro “Linguaggi e soft skills per comunicare a distanza. Chiarezza, impatto e capacità decisionale”.

 

Qual è il ruolo delle nuove tecnologie in questo passaggio, e in cosa possono essere utili software espressamente dedicati al “meeting management”?

Lorenzo Cavalieri: I software dedicati alla gestione delle riunioni sono utili e di fondamentale importanza, perché lavorano sulla causa, sul “batterio” che genera la riunionite: il fatto che la riunione venga improvvisata e non preparata. Quando si parla di riunioni, l’improvvisazione è un grande nemico. Questi software possono essere strumenti benedetti per debellare il virus dell’approssimazione, che “fa ammalare” le routine organizzative aziendali.

E questo soprattutto in Italia, dove la riunione viene spesso vista come un confronto in piazza, un’occasione svincolata da un iter razionale, in cui per definizione si devia dal tema centrale, non si sa di cosa si deve parlare, e si partecipa senza essersi adeguatamente preparati. Un uso maturo della tecnologia può finalmente aiutare a stabilire espliciti requisiti di partecipazione degli invitati, attribuendo a ciascuno un’area di responsabilità rispetto ai temi in agenda. “Preparazione” è dunque una parola chiave: partecipare significa aver studiato i materiali, conoscere i documenti e poter collaborare a ragion veduta in vista delle decisioni da prendere. 

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In Italia, invece, c’è ancora molta tolleranza sulla mancata preparazione, sui ritardi negli orari di inizio e di fine degli incontri, sulla carenza di un feedback relativo ai processi in atto. Un aneddoto su Steve Jobs - citato nel libro libro “Simply Apple – il potere della semplicità” - mostra l’importanza della gestione di questi aspetti: Jobs invitava una persona in riunione, poi chiedeva per quale motivo stesse partecipando. Se la risposta era evasiva, lo invitava ad allontanarsi dal meeting. La morale è che ogni incontro fa capo a un processo importante, in cui non ci possiamo permettere il peso morto di chi partecipa senza averne titolo, o senza dimostrare un’adeguata conoscenza degli argomenti.
 
Il contributo di un software nato per la gestione degli incontri è quello di poter introdurre nelle routine organizzative un approccio diverso: facilitare la lettura dei documenti, prevedere commenti, impostare un ordine del giorno e una gerarchia dei temi. Per un occhio assuefatto alla “riunionite” può sembrare un irrigidimento, ma come in tutti i processi strutturati il risultato è garantito: si lavora meglio e si accelera l’iter decisionale, con un abbattimento dello spreco di tempo e di risorse, anche economiche.

E poi i partecipanti aderiscono con naturalezza a un metamessaggio che suggerisce: la riunione non è “un male necessario”, ma un processo virtuoso che può seguire regole ordinate e condivise. Prima, durante e dopo che l’incontro abbia luogo. Da qui l’importanza del follow-up: la qualità dell’incontro si vede da cosa succede prima e dopo. Se c’è un follow-up ordinato vuol dire che quella riunione è inserita in un processo che funziona.

 

Per sopravvivere alle attuali mutevoli condizioni di mercato, le aziende hanno bisogno di ridefinire le loro routine organizzative. In questo la pandemia è stata un vero e proprio banco di prova. Come hanno reagito le aziende italiane e cosa deve essere ancora messo a fuoco per un cambiamento “agile” dei modelli organizzativi?

Lorenzo Cavalieri: Quello dell’agilità è ormai un destino: le aziende lavorano in sistemi aperti, i mercati sono instabili e cangianti, e i modelli di business devono sapersi adattare a questa flessibilità. Ogni manager è esposto a un cambiamento continuo delle routine organizzative, e a una pressione all’innovazione che si traduce in necessità di occasioni di incontro e scambio di prospettive. Anche per questo, le riunioni tendono ad aumentare. E sono necessari modelli organizzativi improntati al massimo della collaborazione e a un’efficiente circolazione delle idee.

In effetti, la pandemia ha lentamente iniziato ad orientare le aziende a modelli organizzativi più agili, in cui il tradizionale elemento gerarchico è più blando. Il tradizionale sistema “command e control” non è più adatto alle circostanze. Il management ha bisogno di arrivare a soluzioni veloci, le negoziazioni fra strutture diverse delle aziende che operano all’interno dello stesso ecosistema devono essere fluide, e gli stop che derivano dagli eccessi di burocrazia possono - finalmente - essere banditi.

Le tecnologie improntate al meeting management aiutano proprio in questo: qualsiasi strumento che permette di agevolare la transizione verso l’alleggerimento delle strutture è benedetto. Senz’altro è necessario modificare alcuni aspetti di comportamento e di approccio all’ordine che hanno una matrice culturale, ma è indubitabile che la tecnologia ci aiuti a razionalizzare le modalità del confronto. Quando si parla di “riunionite”, non si intende sottovalutare, o peggio ancora limitare, l’esigenza del confronto continuo nei e fra i team aziendali. Anzi, come dicevo, questa esigenza sarà sempre più marcata, e la capacità del management di incoraggiare scambio e collaborazione attraverso processi disciplinati costituirà la vera sfida.

Ecco il ruolo determinante degli strumenti tecnologici adatti a farci giocare queste partite in modo efficiente e a rendere sostenibile questa impellente esigenza di innovazione. Perché innovare significa incontrarsi, collaborare in senso lato, scambiare idee. Per innovare, come manager, devo essere esposto e predisposto all’altro.

 

Qualsiasi organizzazione efficiente deve saper agevolare la performance di ogni collaboratore. Lei ha più volte segnalato l’importanza della cultura del feedback per la salute dei processi. Di cosa si tratta?

Lorenzo Cavalieri: Il concetto di feedback, inteso come riscontro sulla qualità dei rapporti, dei progetti e dello stato della collaborazione nel team, fa ormai parte della cultura aziendale condivisa. È uno degli elementi che ha incoraggiato la necessità di un confronto anche sui processi di riunione, attestando piano piano la buona prassi del dirsi come stanno andando le cose, dando al management l’occasione di correggere il tiro quando necessario.

Il feedback è legato al tema del benessere e della trasparenza. Con un avvertimento: questa esigenza può determinare il numero delle riunioni, come quelle indette per gestire le criticità emerse. Questo “effetto collaterale” può essere evitato attraverso l’uso di piattaforme dedicate, che prevedono al loro interno sistemi di commento e di votazione dei processi in atto. La comunicazione via commento digitale può essere più ragionata e più bilanciata, anche nel caso di eventuali critiche. Dopo gli incontri è possibile monitorare la soddisfazione dei partecipanti, incoraggiandoli a parlare liberamente e avendo così una base oggettiva di dati per correggere difetti e criticità.

Per questo serve un rating: il software deve garantire una valutazione soggettiva sullo stato di frustrazione di chi partecipa: l’incontro è stato una perdita di tempo? Cosa ho imparato? Sono uguale a prima? Il progetto è andato avanti? Quanto tempo siamo stati operativi? Ci sono stati ritardi? Chi ha abbandonato la riunione, e per quale motivo? È stato rispettato l’ordine del giorno? Lo stile di conduzione del moderatore è stato appropriato? E in generale: l’output atteso dalla riunione è allineato all’output effettivo? Bisogna poter confrontare le aspettative con il risultato.

E perché questo processo funzioni dovrebbe esserci una sorta di “dichiarazione di intenti” pre-riunione da confrontare con i feedback finali, dati alla mano. La diffusa “sensazione che la riunione sia stata inutile”, e la conseguente frustrazione che questa diffusa condizione genera, merita di essere presa in carico e risolta. Gli strumenti esistono: devono solo essere conosciuti e applicati.

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Lorenzo Cavalieri
L'autore
Lorenzo Cavalieri è un coach esperto in formazione manageriale e consulenza di carriera. È il fondatore di Sparring, società di consulenza specializzata nello sviluppo del talento comunicativo, negoziale e manageriale. Dal 2011 pubblica saggi sul mondo del lavoro e scrive regolarmente per la sezione Management de "Il Sole24ore". È tra i curatori del percorso "Parola di Manager" presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.