Gestione delle riunioni

Agilità e gestione del cambiamento organizzativo nelle aziende pubbliche e private

La pandemia ha confermato la necessità di un cambiamento organizzativo aziendale in ottica agile. Un nuovo paradigma del lavoro, di cui la gestione delle riunioni costituisce un elemento cruciale. Ne parliamo con Marco Carlomagno, Segretario Generale FLP.

Marco Carlomagno
Marco Carlomagno
People walking into a meeting room at the office

Lo scorso 9 marzo 2021 il Ministro per la Pubblica Amministrazione ha presentato alle commissioni riunite di Camera e Senato le “Linee Programmatiche per la Pubblica Amministrazione”, che inseriscono a pieno titolo il Lavoro Agile nelle priorità organizzative delle Pubbliche Amministrazioni. In esse viene evidenziata l’importanza di Accesso, Capitale Umano e Digitalizzazione (con particolare riferimento a tre dimensioni: “formazione, valorizzazione e organizzazione del lavoro”). Spieghiamo molto brevemente cosa significa, e cosa cambia su questi tre assi.
 
Una premessa: la Pubblica Amministrazione - e non solo - è stata bloccata per circa 15 anni sia sul piano degli investimenti che della formazione. Vale a dire che non si è investito sul capitale umano. Draghi ha ribadito questo aspetto, puntualizzando che per ogni dipendente l’investimento è stato di 49 Euro all’anno: un’ora di formazione l’anno. A questo aspetto si aggiunge la (scarsa) valorizzazione delle competenze e delle conoscenze dei dipendenti. La Pubblica Amministrazione si è arroccata su uno status quo, non offrendo possibilità di carriera (è il caso dei concorsi pubblici indetti per titoli di studio non idonei alla posizione offerta, ad esempio) e quindi chiudendosi alle strade dello sviluppo. Va da sé che a cambiare deve essere l'approccio al lavoro, attualmente basato su metodi obsoleti e sull’adempimento burocratico. 

La nuova gestione del cambiamento organizzativo implica invece il passaggio a una cultura del lavoro basata su obiettivi e risultati. Occorre riferirsi a professionisti che siano competenti, e che vengano coinvolti in tutto il processo organizzativo del lavoro. L’articolo 98 della Costituzione chiarisce che il dipendente pubblico lavora al servizio esclusivo della Nazione, quindi dei cittadini, e non per un feudatario, un capo, o un centro di potere. Questa proposta e queste linee quadro vanno incontro alle nuove esigenze: una gestione del cambiamento organizzativo che metta al centro le persone, la loro valorizzazione, e l’inserimento di professionisti preparati. Diventa necessario rispondere ai bisogni prevenendoli, e costruendo un’amministrazione proattiva che permetta di fronteggiare situazioni complesse. 

In questo scenario, la comunicazione è fondamentale: sono cambiati i paradigmi culturali di valorizzazione delle competenze, e questo aspetto deve essere oggetto di formazione e divulgazione. In questo quadro la digitalizzazione ha un ruolo cruciale, ma non deve sovrapporsi a un pre-esistente mostro burocratico: altrimenti si crea un mostro burocratico digitale. Dobbiamo piuttosto essere in grado di gestire strumenti digitali tagliati sulla persona e sulla semplificazione dei processi.

 

Ci sono differenze tra come le aziende pubbliche e quelle private affrontano questa transizione?  

Marco Carlomagno: Ho riscontrato che le resistenze rispetto a questa nuova cultura della gestione del cambiamento organizzativo sono simili sia nel pubblico che nel privato. Pur esistendo una legge molto avanzata (Legge 81), la quale chiarisce che il lavoro agile non si riduce al lavoro da remoto e da casa, non è comune che le aziende - pubbliche o private - siano ben preparate al cambiamento di paradigma richiesto.

Transitare al lavoro agile significa dare fiducia e autonomia ai dipendenti, e valutarli sulla base degli obiettivi da raggiungere. Il che implica la distruzione della cultura ottocentesca del controllo sul dipendente: nel lavorare per obiettivi non si paga il tempo, si paga il risultato. Con una specifica: non stiamo affatto parlando del lavoro “a cottimo”. A cambiare è piuttosto la struttura aziendale e lo stile manageriale. Per arrivare a questo risultato, come è chiaro, è necessario modificare lo stile di leadership e la mentalità che la sostiene. Prendere atto che è definitivamente finita la cultura del “capo”, ed entrare in un’ottica collaborativa, orizzontale. Deve cadere l’impianto “feudale” a cui siamo abituati. 

Per orientarci, pensiamo al modello Steve Jobs, il quale sosteneva: ciascuno di noi ha imparato ad assumere collaboratori intelligenti, ma poi finiamo per dir loro cosa devono fare. E invece, proprio in virtù delle loro capacità, dovrebbero essere loro a dire all’azienda e al leader come procedere. Ecco il cambiamento di paradigma culturale: nella gestione del cambiamento organizzativo la prima transizione deve avvenire a livello di mentalità. Un buon leader non deve imporre direttive, ma ragionare in termini collaborativi e di sinergia fra i diversi membri del team. Dunque, il lavoro da remoto, nel più ampio quadro di uno stile di lavoro agile, deve saper affrontare questo passaggio. Non ci si può più permettere di riprodurre l’antico sistema.

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Cosa cambia per le amministrazioni e le aziende – sia pubbliche che private - a livello operativo? 

Marco Carlomagno: Nel nuovo paradigma, non si pensa più al posto occupato come a un punto di arrivo per il manager. Il ruolo di leadership deve essere inteso come un punto di partenza per mettersi al servizio del team, creando un engagement di tutti i collaboratori per migliorare i servizi erogati. Serve intelligenza e apertura. La cultura del lavoro agile è stato inteso in Italia come un passaggio dal lavoro dipendente al professionista autonomo. In realtà il passaggio è proprio quello dell’engagement: il dipendente deve essere coinvolto nella cultura imprenditoriale, deve essere lui stesso imprenditore, depositario e veicolo nella gestione del cambiamento organizzativo in ottica agile.

Al management delle grandi imprese è richiesto di comprendere a fondo, e quindi incarnare, questo paradigma. Per sopravvivere in una realtà complessa e mutevole come quella del business contemporaneo, è necessario rimettere in gioco i propri presupposti, le proprie abitudini. Gli schemi pregiudiziali e pre-costituiti non funzionano più: non permettono all’azienda di avanzare e al leader di fronteggiare situazioni emergenziali come quella attuale. In questa transizione hanno un ruolo enorme i consulenti aziendali: è finita l’epoca degli “yes men”, che non a caso stavano portando al fallimento Toyota. No ai consulenti che assecondano le imprese e i loro schemi consolidati perché tanto “funziona così”. 
 
Servono invece invece figure in grado di spiegare alle aziende e al management la trasformazione in atto, e che con la loro professionalità sappiano accompagnare le imprese nell’utilizzo in ottica agile delle nuove tecnologie. Innovazione digitale e block chain (ossia sistemi riservati che si basano su un registro di dati distribuiti - come i nodi di una rete - a cui tutti i partecipanti a quel registro possono aver accesso) sono i due fari della nuova operatività e competitività aziendale.

 

Il ruolo della tecnologia emerge come un fattore cruciale per la gestione del contesto attuale: a che punto siamo in Italia in fatto di digital transformation?  

Marco Carlomagno: Sul tema dei processi di trasformazione digitale, componenti fondamentali della gestione del cambiamento organizzativo, ci sono ancora importanti elementi che i manager devono mettere a fuoco. Uno su tutti: le aziende devono cambiare prima i processi e poi la tecnologia. A questo riguardo, è significativo l’esempio delle riunioni aziendali e di management. Un approccio maturo ai meeting non si accontenta di introdurre la tecnologia per la videoconferenza mantenendo un numero esorbitante di riunioni di lavoro inutili, che seguono processi obsoleti. Un errore ricorrente è indire riunioni per confermare dei ruoli, anziché per prendere decisioni effettive in un’ottica collaborativa e sinergica fra competenze.

Il processo alla base della gestione delle riunioni deve essere revisionato nei suoi metodi, e la tecnologia deve cambiare sulla base di un piano industriale che si mette in discussione. Allora sì, i software diventano preziosi alleati, agevolando la messa in pratica dei principi del lavoro e della leadership agile e abbattendo il rischio (e i costi) delle riunioni di lavoro inutili. I meeting devono essere interpretati per quella che è la loro natura profonda: instaurare un sistema relazionale e di rapporti, a cui ci si affida umilmente, per imparare. Il fattore “umiltà” costituisce una parola chiave anche e soprattutto per i dirigenti. Non si tratta un’utopia irrealizzabile, ma di un passaggio che deve essere guidato da professionisti dedicati, in grado di introdurre nella governance aziendale un miglioramento del modello organizzativo.

Ecco in cosa consiste il ruolo dei consulenti, prezioso per uscire dal microcosmo della micro managerialità e per incorporare nelle logiche dirigenziali il fattore della responsabilità critica. La trasformazione digitale deve essere sostenuta da un cambiamento del mindset (di mentalità), e la critica ai modelli consolidati deve essere interpretata come un valore positivo.

 

Che suggerimenti potremmo offrire a un manager per mettere all’opera questo cambiamento di “mindset” nel proprio approccio organizzativo?

Marco Carlomagno: Innanzi tutto: è necessario mettere a fuoco l’importanza del fattore “reputazione”. Il sistema reputazionale è legato a doppio filo a come il manager incarna il sistema organizzativo alla base della sua organizzazione, e anche in questo emerge l’importanza di un consulente a cui affidarsi.

Le circostanze attuali offrono in questo senso una grande occasione: le aziende e il loro management possono presentarsi come modelli di riferimento, ponendosi in maniera autorevole - non autoritaria - e incarnando cambiamenti che, come è ormai chiaro, sono già in atto. Il vantaggio è anche di ordine pratico: colossi come Google e Microsoft hanno capito perfettamente che il “benessere organizzativo”, e un cambiamento di paradigma in ottica collaborativa, costituiscono i volani per il miglioramento della produttività aziendale. 
 
Nei miei colloqui con manager e dirigenti, il suggerimento di partenza è sempre quello di curare valori di supporto a questo cambiamento: umiltà, gentilezza, empatia. Continuare ad imparare è fondamentale. Le innovazioni digitali, quando supportate da un maturo cambiamento dei processi, rappresentano preziosi alleati: ma ai manager è richiesta una formazione in questo senso. In modo che possano farsi promotori della transizione e stimolare la formazione continua dei professionisti dei loro team.

In questo modo, i componenti del team sono formati a loro volta come leader in relazione e collaborazione reciproca, e inseriti in un processo imprenditoriale orientato al risultato e alle buone decisioni. Di questa capacità di saper ragionare fra pari, come nodi di uno stesso network, il processo di gestione delle riunioni è una vera e propria cartina di tornasole. Per passare a una nuova architettura del lavoro, insomma, serve coltivare una nuova visione.

 

Come si passa da un cambiamento che adotta il lavoro agile in ottica emergenziale a un cambiamento strutturale orientato a durare nel tempo?  

Marco Carlomagno: La pandemia ci ha dato modo di realizzare che un cambiamento prima ritenuto impensabile è invece possibile. Le circostanze critiche che stiamo vivendo hanno valorizzato l’uso della tecnologia, anche in rapporto ad alcuni esiti negativi che meritano una riflessione accurata e consapevole. In linea generale, tuttavia, è caduta l’ipervalutazione della presenza fisica come condizione necessaria al buon esito di un processo decisionale. Ancora una volta, le riunioni rappresentano un terreno d’indagine significativo.

Pensiamo all’epoca pre-pandemica e alle sue riunioni di lavoro inutili, interminabili, per cui si muovevano persone da luoghi geograficamente distanti, con un enorme dispendio di risorse in termini di trasporti, tempo investito in spostamenti, consultazione di documenti cartacei difficili da trasportare, consultare, condividere. L’unico modo per rendere strutturale il passaggio alle forme ibride e agili di lavoro, riunioni in testa, è cambiando i processi. Il micropotere manageriale non deve più essere contemplato: questo modello è diventato obsoleto. Alcuni manager hanno ammesso che nei paradigmi gerarchici tradizionali i vertici dirigenziali non avevano chiaro di cosa si occupassero i dipendenti e gli altri membri del team.

Ecco perché così spesso indicazioni e decisioni risultavano carenti o inefficaci: l’attenzione era spostata sul controllo del singolo, e non sul risultato delle diverse mansioni e dell’efficacia generale del processo. 

 

Rendere il cambiamento strutturale significa passare dall’ottica dell’adempimento a quella degli obiettivi.

Marco Carlomagno
Segretario Generale FLP

Lo smart-working nella sua veste matura richiede formazione, sia nell’utilizzo delle tecnologie sia nel cambiamento di paradigmi culturali, attestati ma non più funzionali. L’epoca del “si è sempre fatto così” è finita: l’introduzione di nuove tecnologie specificamente dedicate al lavoro agile deve entrare in sinergia con processi orizzontali di governance e di gestione dei team di lavoro. Per questo è necessario affidarsi a professionisti specializzati nella cultura dell’engagement. In questo, ci sostiene l'esempio di aziende forti, con una potente capacità reputazionale. 

 

La gestione efficiente delle riunioni è un importante fattore di agilità aziendale, anche e soprattutto quando si parla di riunioni dirigenziali e di leadership. Un tema che forse, in Italia, non viene trattato con la dovuta attenzione. Quali strumenti dovrebbero essere messi a fuoco e implementati per la buona riuscita delle riunioni, specie in un momento di generale attestazione delle riunioni ibride? 

Marco Carlomagno: Le riunioni costituiscono occasioni determinanti per il buon esito dei processi decisionali e per la tenuta dei team. Eppure i dati riportano che un terzo del tempo speso in riunione è considerato demotivante e caotico. E che in epoca pre-Covid, solo in Europa, il costo delle riunioni improduttive era di 32 miliardi l’anno. 

Si tratta di dati che non possono essere ignorati. Per la revisione dei processi in ottica agile bisogna ripartire dalla domanda: come possiamo impostare riunioni produttive? Fino ad oggi si organizzavano meeting interminabili, privi di un ordine del giorno strutturato, sprovvisti di un controllo razionale del tempo e degli argomenti in agenda. Anche per la gestione delle riunioni esiste un metodo: e qui torna l’importanza dell’aggiornamento.

Queste circostanze ci obbligano a un salto di qualità: le riunioni on line e ibride, se organizzate su criteri improvvisati e obsoleti, si estendono in modo esponenziale e rischiano di diventare a loro volta riunioni di lavoro inutili. Non a caso ricerche dedicate riportano un ulteriore aumento della loro durata e frequenza.

Partecipare a riunioni inutili incide in percentuale altissima sul tempo di lavoro dei manager, toccando punte del 50%. Un tempo che viene sottratto alla produttività e alla creatività, con drammatiche conseguenze sul piano dei costi e della qualità dei processi. Occorre una formazione specifica e un accurato processo di feedback sullo stato dell’arte dei processi di riunione attualmente in atto: capire dove si sbaglia, incoraggiare i riscontri del team e accantonare una volta per tutte la figura dello “yes man”, che rinforza abitudini disfunzionali. In quanto leader, il mio obiettivo nel partecipare alle riunioni è prima di tutto ascoltare e recepire le istanze del team.

Ricordiamo infine che non tutte le riunioni sono uguali: per renderle efficaci è necessario che il focus sia chiaro a tutti. Questo vale in particolar modo per le riunioni dirigenziali, in cui si prendono decisioni cruciali per la salute aziendale. Nei meeting tradizionali, invece, spesso non si capisce l’obiettivo per cui ci si è riuniti. E questo genera frustrazione, sensazione di star perdendo del tempo. Il ricorso a software dedicati alla gestione delle riunioni può aiutare a gestire l’interconnessione e la collaborazione fra i membri del team. Serve però, ancora una volta, riferirsi a professionisti e a servizi specializzati.

 

Nella transizione a un’organizzazione aziendale agile e in grado di affrontare le sfide del presente, qual è il contributo che un software dedicato alla gestione delle riunioni offre?

Marco Carlomagno: Come dicevo, nella gestione del cambiamento organizzativo un software dedicato all’ottimizzazione delle riunioni è fondamentale. In Italia il ricorso a strumenti specifici per la razionalizzazione dei processi di riunione sembra ancora estremamente ridotto, mentre dovrebbe essere uno degli aspetti centrali per garantire la salute dello sviluppo e dell’organizzazione aziendale.

È indubitabile che la riorganizzaone delle Pubbliche Amministrazioni, così come delle aziende private, parta anche dall'introduzione di questi software. Una consapevolezza che dovrebbe essere maturata anche in sede istituzionale. L’utilizzo di tecnologie che incorporano nella loro architettura i principi orizzontali e agili di cui abbiamo parlato, e che quindi permettono una gestione collaborativa e sicura dei team di lavoro, serve anche per dare modo al manager di verificare ciò che pensa di saper fare bene. Il che si traduce nella capacità dei software dedicati alla gestione delle riunioni aziendali di prendere in carico tutte le fasi del processo: prima, durante e dopo la riunione. Offrendo ai partecipanti l’occasione di fornire riscontri onesti sull’andamento dei meeting e più in generale dei processi.

Lo ripetiamo: la tecnologia si pone come alleato di supporto nella messa in atto di un processo nuovo. Non è un costo: è un investimento. La visione suggerita ai manager deve essere generale, ampia. Serve una visione.

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Marco Carlomagno
Marco Carlomagno
L'autore
Segretario Generale della Federazione Lavoratori Pubblici, docente universitario e giornalista pubblicista. È in servizio presso l’Agenzia delle Dogane e fa parte del "Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni" dell'Agenzia delle Dogane e del Gruppo di monitoraggio della "Sperimentazione del lavoro agile della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Ha scritto numerosi libri e dirige la rivista “FLP News”.